Per chi ne soffre la terapia salvavita è la nutrizione parenterale domiciliare
Sono malati rari ma non riconosciuti come tali, hanno diritti diversi a seconda della regione in cui vivono e il sistema sanitario non sa che esistono. Questo il paradosso in cui vivono in Italia circa 800 persone con insufficienza intestinale cronica benigna, tra cui anche 150 bimbi. A fare il punto, il nono convegno nazionale di Un Filo per la Vita Onlus, in corso a Roma. L'insufficienza intestinale cronica benigna "consiste in una riduzione della funzione intestinale sotto il minimo necessario per l'assorbimento di nutrienti e acqua", spiega Antonella Diamanti, responsabile UOS Nutrizione Artificiale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. "Si presenta spesso - precisa - come intestino corto ma può anche esser dovuta a incapacità di assorbimento. Può esser causata da malformazioni alla nascita o interventi chirurgici di resezione intestinale resi dovuti a malattie acute o croniche".
Per chi ne soffre la terapia salvavita, è la nutrizione parenterale domiciliare, che consiste nella infusione direttamente nel sangue, attraverso un catetere venoso, di miscele nutritive. Questa ricorda, precisa Loris Pironi, direttore del Centro Regionale per l'Insufficienza Intestinale Cronica del Policlinico di Sant'Orsola di Bologna, "colpisce 12 persone per ogni milione di abitanti ed e' già nella lista europea delle malattie rare. Ma in Italia non è ancora nella lista nazionale delle malattie rare". Ed è, per questo, 'invisibile' tanto agli operatori sanitari che spesso ne ignorano l'esistenza, che al Servizio Sanitario Nazionale che non le ha attribuito un corrispettivo 'codice' che ne consenta "l'identificazione amministrativa". La conseguenza, aggiunge Sergio Felicioni, presidente di Un filo per la Vita, "sono grandi disparità di accesso alle cure e difformità regionali nella fruizione dei Livelli Essenziali di Assistenza da parte dei pazienti affetti dalla medesima insufficienza d'organo". La richiesta che arriva dalle famiglie, sottolinea Paola Binetti, senatrice della Udc, "è proprio quella di ridurre queste disparità radicate sul territorio nazionale e migliorare la qualità di vita dei pazienti fin da giovanissimi, dandogli la possibilità di gestire al meglio la malattia".
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